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L'Italia, dopo la Turchia, è forse oggi l'unico paese del globo che non ha nemmeno un artista. Tranne quattro o cinque rifischiettatori di vecchi ritornelli l'Italia infatti non ha un solo artista moderno!
Quando un paese è a questi ferri è naturale che non abbia neppure una critica d'arte, e se al nostro mancasse anche questa nessuno si meraviglierebbe nè — tanto meno — si lagnerebbe. Ma no!: l'Italia che non ha un'arte ha una critica d'arte. Per un fenomeno inesplicabile, in ogni città che abbia più di ventimila abitanti e un giornale o una rivista, di quelli che nascono e muoiono come le cicale, v'è un critico canterino che non si cheta mai, quando non ve ne sono due o tre — e allora la cosa diventa quasi miracolosa. Anzi non solamente dei critici ci sono in Italia, ma delle scuole di critici, gli uni armati contro gli altri, e la loro facondia è tanto abbondevole, tanto perenne, tanto imperterrita, che a uno il quale vivesse da moltissimi anni a Chen-tu, per esempio, dove i nostri giornali arrivano due mesi dopo la loro pubblicazione, portati da un corriere a piedi, e non sapesse in che melme diguazzano, potrebbero anche parere audaci e viventi. Specialmente in questi ultimi tempi.
Da qualche mese a questa parte la critica italiana si è rinfocolata come un ceneraio sonnecchiante, e fra il deprecare i tanti flagelli sospesi sugli edifizi «eretti dagli avi», fra il protestare per minacciate costruzioni in cartapesta, fra il discutere di pensionati, di riforme dell'insegnamento, e l'acciuffarsi per l'erezione o no di innumeri monumenti, è stato un casa del diavolo.
In realtà però non si tratta che di chiacchiere e quei pochi che non vivono disgraziatamente a Chen-tu non si fanno più, da molto tempo, alcuna illusione.
Son ciarle ed è fatale che tutto qui si risolva in pettegolezzi.
In un paese come il nostro dove — si è detto — non esiste un'arte moderna il compito dei critici — giacchè ce ne sono — sarebbe o di tacersi o di mostrare ai giovani volenterosi e incerti quale un'arte moderna italiana dovrebbe essere. E avanti tutto l'attività critica dovrebbe esercitarsi a demolire, a far largo, a preparare il terreno per la nuova sementa, a spazzare via ogni resto di marcio, di posa, d'impostura anche mascherati sotto i cenci delle tradizioni polverose e nascosti dietro la dignità delle lunghe barbe, dei titoli e delle croci.
Ma per far questo — heu! — bisognerebbe possedere una bell'anima entusiastica, un cuore palpitante, una mente nutrita e soprattutto una visione chiara, folgorante, precisa di un'arte vivente. Bisognerebbe essere, in una parola, profeti di una nuova fede. Ora nessuno dei nostri critici, tranne forse Angelo Conti, ha una sola delle qualità richieste per una tale missione. Chi conosce le pappolate dell'incolore Pantini, del multicolore Ojetti, dell' onniaccogliente Pica, del malnoto Misciattelli, del troppo noto Molmenti, dell'inesistente Angeli e dell'ingombrantissimo Corrado Ricci, non può fare a meno di ridere alla sola idea di una crociata bandita da simili voci, per il rinnovamento della coscienza artistica del nostro popolo. Tutti sanno che costoro sono uomini senza anima e senza vita, che nessuno amor vero di grandezza e di bellezza gl'infiamma, che sono insomma i complici di ogni sguattero che si metta a maneggiare pennelli o mazzuoli.
Ogni due anni quando l'esposizione di Venezia s'apre
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come una fiera e da ogni parte del mondo sono attirati a far mostra di sè i campioni avvizziti di tutte le scuole; coll'esca di un buon affare, la brillante coorte accorre e un mese dopo l'Italia è inondata delle loro sentenze. Questo è tutto quello che posson fare senza ammazzarsi; ma chi ha mai scoperto nella terribile alluvione di parole dilaganti per la penisola, il più modesto segno di un'idea che non sia usata come un marciapiede, volgare o morta?
Basta vedere le gallerie formate secondo i loro consigli per spaventarsi della qualità dei loro gusti. Ma c'è di più: se qua e là per il mondo un artista severo o un gruppo di artisti sbozza la figura di una nuova bellezza essi l'ignorano o ridono.
Non è forse uno di loro, il signor Enrico Thovez che qualche mese fa insultava gaiamente dalle colonne della Stampa il pittore francese Paul Cézanne che l'Italia dovrebbe conoscere per suo profitto e cui Venezia chiuderà eternamente le porte in faccia?
La critica italiana ama i fratelli Cascella, Morelli e Cesare Maccari.
Già!...l'affreschista Maccari !...
Ma se l'Italia si svegliasse, sbadigliasse, si stirasse, si arricciasse le maniche e — stufa — dicesse: basta!...
In quanto a noi faremo del nostro meglio per turbarle il sonno, e da ora innanzi cominceremo a picchiare senza misericordia, a destra a sinistra....
Attenti alla testa!... — chi ne ha una s'intende!
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